Sentenza Cassazione Penale 19 febbraio 2025, n. 6775: quando l’imprudenza del lavoratore non solleva il datore di lavoro

Il caso

  • Protagonisti della vicenda sono A.A., amministratore delegato e datore di lavoro delegato, e B.B., responsabile del reparto fonderia con delega in materia di sicurezza.
  • Vittima: C.C., operaio addetto al reparto “anime” della fonderia, deceduto dopo essere stato schiacciato da colonne metalliche e traverse meccaniche di un macchinario in movimento.
  • Circostanze: il lavoratore stava ispezionando o verificando un’anomalia (“rumore insolito”) a macchina in moto. Attraverso un percorso non proprio lineare, ha raggiunto zone superiori del macchinario — zone con organi meccanici in movimento non completamente segregati, senza ripari idonei che impedissero l’accesso o che blocchino il funzionamento se il macchinario fosse stato raggiunto da una persona.

Decisione della Corte

  • La Cassazione ha rigettato il ricorso dei datori di lavoro e del responsabile, confermando le condanne per omicidio colposo.
  • Il principio che la Corte ribadisce è che anche se il lavoratore ha tenuto una condotta imprudente, ciò non esclude la responsabilità del datore di lavoro se l’incidente è riconducibile a insufficienza delle misure preventive che — se fossero state adottate — avrebbero potuto neutralizzare il rischio generato proprio dal comportamento imprudente.
  • In particolare: mancava una segregazione completa degli organi in movimento nella parte superiore della macchina; non erano installati ripari efficaci; e nonostante ci fosse una scaletta, e nonostante fosse nota la possibilità che il lavoratore potesse accedere, non erano presenti dispositivi che bloccassero il funzionamento o impedissero fisicamente l’accesso a quella zona.

Implicazioni operative per i datori di lavoro

La sentenza della Cassazione Penale n. 6775/2025 ribadisce un concetto chiave: la responsabilità del datore di lavoro non viene meno solo perché il lavoratore si comporta in modo imprudente. Questo significa che la gestione della sicurezza deve andare oltre la semplice “regola scritta” e tradursi in misure concrete e verificabili.

Ecco i punti più rilevanti:

  • Prevedere anche l’imprevisto

Il DVR non può limitarsi ai rischi “ordinari”: deve contemplare anche errori, distrazioni o comportamenti non perfettamente conformi, perché sono scenari realistici.

  • Investire in misure tecniche, non solo organizzative

Una barriera fisica, un riparo interbloccato, un dispositivo di blocco automatico spesso valgono più di mille istruzioni operative. La tecnologia deve affiancare e rafforzare le regole.

  • Vigilanza e controlli reali

Non basta avere procedure: occorre verificarne l’applicazione, fare audit interni, intervenire subito se emergono criticità. La “vigilanza attiva” è la prova che l’organizzazione non si limita al formalismo.

  • Deleghe consapevoli e responsabilizzazione

Delegare in materia di sicurezza è possibile, ma richiede che il delegato abbia mezzi, autonomia e competenze. La delega “vuota” non protegge il datore e può aggravare le responsabilità.

  • Documentazione come scudo difensivo

In caso di processo penale, la differenza la fanno le prove: DVR aggiornato, verbali di formazione, report di manutenzione, segnalazioni gestite. Tutto ciò che dimostra un impegno reale nella prevenzione può essere decisivo.

  • Cultura aziendale della sicurezza

La sicurezza non deve essere percepita come “un costo” o un adempimento burocratico, ma come parte del valore aziendale. Un clima in cui i lavoratori si sentono liberi di segnalare rischi senza timore di ripercussioni riduce incidenti e rafforza la posizione difensiva in caso di indagini.

Implicazioni operative per i lavoratori

La sentenza della Cassazione non riguarda solo le aziende, ma parla anche ai lavoratori. Ecco cosa ci insegna:

  • Il diritto alla sicurezza è fondamentale

Nessun lavoratore deve sentirsi “colpevole” solo perché ha commesso un gesto imprudente: la legge impone che le macchine e gli ambienti siano progettati e gestiti per ridurre al minimo i rischi, anche in caso di errore umano.

  • Segnalare i pericoli è un dovere, oltre che un diritto

Se noti macchinari privi di protezioni, anomalie (rumori, vibrazioni, blocchi improvvisi), percorsi insicuri o procedure poco chiare, segnalarlo non significa “mettersi contro l’azienda”, ma contribuire a proteggere te stesso e i colleghi.

  • La formazione non è una formalità

Chiedi sempre chiarimenti se non ti senti sicuro di una procedura. La formazione serve per capire come comportarsi non solo “quando tutto funziona”, ma soprattutto in caso di emergenze, guasti o anomalie.

  • Usare i DPI e rispettare le procedure

Anche se può sembrare scomodo o superfluo, l’uso corretto dei dispositivi di protezione e il rispetto delle regole riduce il rischio di incidenti. In caso di infortunio, dimostra inoltre che hai fatto la tua parte.

  • Documentare può tutelarti

Se segnali un problema, fallo sempre per iscritto (email, modulo, messaggio tracciabile). Questo crea una prova che hai assolto al tuo dovere di collaborazione in materia di sicurezza.

  • La cultura della sicurezza si costruisce insieme

La responsabilità principale è del datore, ma ogni lavoratore contribuisce con comportamenti attenti, segnalazioni e condivisione di buone pratiche.

Conclusioni

La sentenza della Cassazione n. 6775/2025 ci ricorda che la sicurezza non è un adempimento formale, ma un sistema vivo di prevenzione. Solo integrando tecnologia, formazione e cultura aziendale è possibile ridurre i rischi e tutelare lavoratori e imprese.

Lascia un commento e iscriviti alla nostra newsletter esclusiva per ricevere consigli pratici, aggiornamenti normativi e strumenti utili

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Consenso ai cookie con Real Cookie Banner