Consenso informato e responsabilità penale: la Cassazione ribadisce che la mancata informazione può costituire reato
Nel panorama della responsabilità medica, il tema del consenso informato ha assunto negli ultimi anni un rilievo sempre più marcato, non solo sul piano civile, ma anche sotto il profilo penale.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha infatti chiarito che l’omessa o inadeguata informazione del paziente può integrare gli estremi del reato di lesioni personali colpose (art. 590 c.p.), anche qualora l’intervento sanitario sia stato eseguito correttamente sotto il profilo tecnico.
Il caso
Il caso riguardava un intervento chirurgico eseguito con competenza, ma senza che al paziente fossero stati illustrati con chiarezza i rischi specifici e le possibili alternative terapeutiche.
A seguito di complicanze post-operatorie, il giudice ha ritenuto che la mancanza di una corretta informazione costituisse una violazione del diritto del paziente a scegliere consapevolmente, e quindi una condotta penalmente rilevante.
La giurisprudenza di legittimità
Tra le molteplici decisioni della Suprema Corte, alcune hanno definito con chiarezza la dimensione penale del consenso informato:
- Cass. Pen., Sez. IV, 20 maggio 2023, n. 22228: la Corte ha ribadito che “la mancanza di consenso informato integra la fattispecie di lesioni personali colpose, qualora l’intervento, pur tecnicamente corretto, provochi un esito lesivo non accettato dal paziente per difetto di adeguata informazione”.
- Cass. Pen., Sez. IV, 11 aprile 2018, n. 17864: viene sottolineato che “il consenso informato non può ridursi alla mera sottoscrizione di un modulo, ma richiede un’effettiva comprensione da parte del paziente, con informazioni personalizzate e contestualizzate”.
- Cass. Pen., Sez. IV, 16 febbraio 2021, n. 17350: è configurabile responsabilità anche per omessa informazione sui rischi specifici, se il medico omette di illustrare alternative terapeutiche o conseguenze prevedibili dell’intervento.
Queste sentenze si fondano su un principio di fondo: l’autodeterminazione del paziente non è un aspetto formale, ma un diritto fondamentale della persona, la cui violazione può avere rilievo penale.
Le implicazioni per i professionisti sanitari
Per i medici e gli operatori sanitari, la portata di queste pronunce è concreta e operativa.
L’obbligo di informare non si esaurisce nella consegna di un modulo standardizzato, ma richiede una relazione dialogica con il paziente.
Il professionista deve:
- illustrare finalità, rischi, benefici e alternative terapeutiche, in modo comprensibile;
- assicurarsi che il paziente abbia realmente compreso le informazioni fornite;
- documentare accuratamente la comunicazione nella cartella clinica;
- aggiornare il consenso in caso di mutamento del quadro clinico o delle opzioni di trattamento.
La corretta informazione diventa così una componente essenziale della condotta diligente, rilevante ai fini dell’esclusione della colpa penale.
Le implicazioni per i pazienti
Per il paziente, le sentenze della Cassazione rappresentano una garanzia effettiva del diritto all’autodeterminazione terapeutica.
Ricevere un’informazione completa significa poter scegliere consapevolmente tra le alternative, assumere un ruolo attivo nella cura e valutare la proporzionalità del trattamento rispetto ai propri valori e aspettative.
La consapevolezza del paziente è anche una forma di prevenzione del conflitto medico-legale, poiché riduce i contenziosi fondati su incomprensioni o mancate comunicazioni.
Conclusione
Il consenso informato, nella visione della giurisprudenza penale più recente, non è una formalità né un atto difensivo, ma un momento sostanziale della cura.
Per il medico, è lo strumento che legittima l’intervento; per il paziente, è la garanzia della propria libertà e dignità.
La Corte di Cassazione ha chiarito che la mancanza o l’incompletezza del consenso può tradursi in responsabilità penale, anche in assenza di errore tecnico.
Un monito che invita il mondo sanitario a una comunicazione trasparente, documentata e rispettosa della persona, e che ricorda a tutti noi — pazienti e professionisti — che la fiducia è il primo atto terapeutico.
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